Il dromone, nelle sue varie forme, è probabilmente la nave da guerra romana più tipica del periodo tardo antico e alto medievale dell’impero.
I dromoni, il cui nome (δρώμονες in greco, dromones in latino) si può semplicemente tradurre come “corridori”, derivano dalle liburne, imbarcazioni da guerra sia a singolo (moneris) che a doppio ordine di remi (biremis).
Inizialmente una nave agile e veloce, adatta anche alla navigazione e combattimento fluviale, il dromone nel corso dei secoli altomedievali si trasformò radicalmente, divenendo un’imponente imbarcazione da guerra, mossa da equipaggi di fino a duecento rematori e dotata di sifoni incendiari capaci di lanciare sui vascelli nemici il temuto e formidabile “fuoco liquido” (più comunemente noto come “fuoco greco”).
Il dromone tardoantico (IV-VII secolo).
Non esiste sicurezza sul periodo nel quale il dromone propriamente detto fece il suo ingresso nella marina da guerra romana.
Esiste un discusso passo dello storico antico Eunapio di Sardi (349-414), che cita dei δρομάδας (dromàdas), “veloci navi a trenta remi sul tipo delle liburne”, fatte costruire dal magister militum per Orientem Fravitta per combattere il suo predecessore in rivolta, Gainas.
La descrizione di Eunapio sembrerebbe combaciare molto bene con le testimonianze che si hanno per il VI secolo, periodo nel quale la menzione dei dromoni si fa di gran lunga più fitta in varie fonti (es. Cassiodoro e Procopio di Cesarea).
Meno sicuro pare stabilire se i dromoni della fine del periodo tardo antico fossero dotati solamente di un ordine di remi o se, come le liburne da cui derivavano, esistesse anche una versione biremis. Personalmente non escludo anche questa seconda ipotesi, ma la maggior parte delle evidenze e dei dati raccolti puntano decisamente a stabilire che, se non era l’unica variante, la versione moneris del dromone doveva essere quasi certamente la più diffusa.
Il dromone in questione era una nave di basso tonnellaggio, con un equipaggio composto circa dai 20 ai 30 uomini, denominati dromonarii (numero che nelle più grandi versioni biremis sarebbe aumentato a circa 50 marinai).
Una delle rare e più chiare testimonianze iconografiche di un dromone di questo periodo è costituita da un graffito proveniente da Màlaga, in Spagna. La nave rappresentata sembra essere a un solo ordine di remi, con 17-18 remi per parte (comportando quindi un equipaggio di almeno 34 uomini), e monta una vela latina, al contrario della liburna da cui deriva, che montava preferibilmente vele quadrate. Sembra potersi scorgere almeno un castello di poppa, su quale dobbiamo presumere che fossero montate macchine atte all’affondamento delle navi nemiche (es. balliste e altre macchine da getto), come del resto descritto nello Strategikon scritto dall’imperatore Maurizio Tiberio (582-602), il quale però indica la posizione primaria di tali macchine a pròra.
Secondo l’autore del trattato, a bordo delle navi dovevano anche essere presenti trombettieri (βουκινάτορας, boukinàtoras) e portaordini (μανδάτορας, mandàtoras). Oltre che dalle macchine, i castelli di pròra e poppa dovevano essere occupati da “abili ed esperti arcieri”, poiché sempre secondo il trattato per questi ultimi “devono essere costruite […] delle postazioni protette”.
A poppa si scorge molto chiaramente anche una bandiera. Essa doveva avere funzione di stendardo, poiché, come descritto sempre nello Strategikon dell’imperatore Maurizio, “deve essere chiaro chi è il comandante di ogni dromone dallo stendardo esposto come contrassegno”.

I dromoni di questo periodo furono tra i grandi protagonisti delle guerre di riconquista dell’Occidente di Giustiniano. Non solo i dromoni furono utilizzati durante la riconquista dell’Africa vandala, ma uno schieramento di 50 dromoni ingaggiò e sconfisse pesantemente la flotta degli Ostrogoti presso Sena Gallica nel 551.
I dromoni furono efficacemente utilizzati anche per la guerra fluviale. Non solo lo Strategikon cita chiaramente la navigazione e l’eventualità del combattimento sui fiumi tramite dromoni, ma vari episodi riportati dalle fonti ci riconducono a questa realtà, che denota la versatilità di queste imbarcazioni. Oltre ad episodi inerenti la guerra gotica, non si può non citare la classis di poche imbarcazioni che il dux Droctulfo (di origine sveva, che dai Longobardi era passato ai Romani e ne era diventato un fedelissimo ufficiale), come riportato dal suo ora perduto epitaffio a Ravenna, riportato da Paolo Diacono, utilizzò contro il duca Faroaldo, che per un breve periodo aveva militarmente occupato il porto di Classe ai danni dell’impero.
VIII-X secolo: la minaccia araba e l’evoluzione del dromone
A partire dalla metà del VII secolo, l’impero romano dovette fronteggiare la nuova agguerrita minaccia degli Arabi, che in pochissimo tempo stavano conquistando gran parte del territorio imperiale.
Riportando alla mente il caso analogo dei Vandali di V secolo, e pur considerando che per il primo periodo certamente si affidarono a maestranze locali, è incredibile come gli Arabi riuscirono a padroneggiare in relativamente poco tempo l’arte navale, non avendola mai praticata prima di quel periodo.
Ad affrontare la minaccia araba, ora non solo via terra ma anche sui mari, vi erano gli agili dromoni del periodo tardo antico. Una delle battaglie più famose di questo periodo fu quella conosciuta come Battaglia degli alberi (in riferimento agli alberi delle navi), combattuta nel 654-655. La flotta romana era comandata dall’imperatore in persona, l’energico Costante II, ma fu una sconfitta. Secondo alcune fonti, dopo questo scontro vi fu un primo tentativo di assediare Costantinopoli.
Se da un lato la sconfitta della Battaglia degli alberi apriva completamente la strada degli Arabi al Mediterraneo, dall’altra fu la spinta che servì ai Romani per migliorare e iniziare a modificare le loro navi da guerra.
Gli Arabi se ne dovettero accorgere ben presto. Già nel 684, ma soprattutto durante il secondo assedio arabo di Costantinopoli nel 717, bastarono poche navi romane ad affondare già nei primissimi giorni di assedio gran parte della flotta nemica, che per un caso fortuito si era avvicinata troppo alle imbarcazioni imperiali. Se non era già in uso prima, come suppongono alcuni studiosi, sulle navi imperiali era stato implementato una nuova e terribile arma, destinata a diventare un marchio distintivo della marina da guerra romana dell’alto medioevo: il fuoco liquido (questo è uno dei nomi riportati dalle fonti per quello a noi più comunemente noto come “fuoco greco”, definizione che i Romani del periodo non adoperavano).

A questa prima implementazione tecnologica, seguirono ben presto nuove e importanti modifiche dei dromoni imperiali, specie a partire dall’inizio del X secolo in poi.
I trattati militari e non del periodo, particolarmente quelli di Leone VI (886-912) e Costantino VII Porfirogenito (912-959), testimoniano che il dromone non doveva essere più la veloce nave da guerra del periodo tardo antico, ma si era completamente trasformato.
Il dromone alto medievale era ora una nave con un equipaggio tra i 100 (per Leone VI) e 230 rematori (secondo Costantino VII).
Fu con queste nuove, imponenti navi, che il futuro imperatore Niceforo Foca riuscì a dare l’assalto definitivo a Creta, con il quale nel 961 riportò l’isola sotto l’egida imperiale dopo un secolo e mezzo di dominazione araba.
Il X secolo fu sicuramente l’apogeo della marineria romana durante il periodo medievale. Insieme a Creta, venne rioccupata Cipro, e si ebbero più vittorie navali contro i Rus’. Non può stupire quindi che, davanti a Liutprando di Cremona, in missione diplomatica a Costantinopoli, nel 968 l’imperatore Niceforo Foca potesse affermare: “Io solo ho il dominio del mare”.
Bibliografia
Carile S., Cosentino S., “Storia della marineria bizantina”, Milano 2010.
D’Amato R., “Imperial Roman Warship 193-565 AD”, Oxford 2017.
Konstam A., “Byzantine Warship vs Arab Warship. 7th-11th centuries”, Oxford 2015.
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