Bisanzio non esiste. Quattro motivi per smettere di chiamare “bizantini” i Romani durante il medioevo.

“Bisanzio, forse, non è mai esistita…”, recita una bellissima canzone di Francesco Guccini. E infatti, Bisanzio non esiste.

Bisanzio, in quanto entità statale altra rispetto all’impero romano, è un’invenzione storiografica di epoca moderna, che sarebbe finalmente l’ora di buttare nel dimenticatoio.

Chiariamo subito un punto fondamentale: nelle fonti antiche e medievali romane, “Bisanzio” e “Bizantini” sono certamente due termini ricorrenti, ma hanno un significato profondamente diverso da quello che noi attribuiamo loro. Sono due parole molto specifiche che indicano la città di Bisanzio (o Nea Rome, o Costantinopoli), e gli abitanti della città.

Capisco certamente che l’uso moderno di “bizantino” è del tutto convenzionale, un termine di comodo, ma non smettere di usarlo non fa che continuare a tramandare l’idea, fuorviante e sbagliata, che voglia indicare qualcosa che non è romano. E ciò vale anche per altri termini quali Romaici, Romei, Romiosi: tutte terminologie che traslitterano la traduzione in lingua greca di “Romani”. Questi termini, oltre a non avere alcun senso –se abbiamo già la parola corretta in italiano, perché mai utilizzare la traslitterazione della stessa parola da un’altra lingua?–, implicitamente vogliono significare che stiamo parlando di qualcosa che si vuole dire romano ma non lo è. Cosa che naturalmente è falsa, sbagliata, al limite della pseudostoria.

È ovvio che lo Stato romano cambi e si evolva nel tempo per diverse contingenze, e questo vale ancora per l’Evo antico. Ipotizziamo di poter portare un “vero” romano, Catone il Censore, al II o III secolo d.C.: visti i cambiamenti radicali che avrebbe subito il “suo” mondo, ne uscirebbe senz’altro di senno. Dobbiamo imparare a ragionare a mente fredda e cercare di razionalizzare il fatto che lo Stato romano ha un’estensione temporale talmente ampia, che è impossibile che resti sempre uguale a sé stesso. Riconosco che è difficile, in un mondo nel quale il tempo si conta come le noccioline, ma se si vuole comprendere la Storia bisogna almeno provarci.

Ci vorrebbe naturalmente una più lunga trattazione sull’argomento per spiegare adeguatamente quanto la nostra visione sia fallace, ma qui mi limiterò a portare quattro semplici motivi e controargomentazioni che spero aiutino a smontare del tutto l’esistenza di “Bisanzio”.

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L’unica cosa che può essere chiamata a diritto “Bisanzio” è la città di Costantinopoli. Rappresentazione di Costantinopoli del 1422, ad opera del cartografo fiorentino Cristoforo Buondelmonte.

1. Lo Stato, la legge, la cittadinanza: un mondo romano.

Questo è forse il punto più importante di tutti, ed è talmente ovvio che spesso viene totalmente trascurato.

Dal punto di vista politico e geografico, tra antichità e medioevo non vi è soluzione di continuità nello Stato romano, non si viene a creare una nuova entità politica. Naturalmente, questo è comprensibile solo se ci togliamo un ennesimo paraocchi storiografico che ci hanno lasciato in eredità gli studi scolastici: l’impero romano non venne mai diviso in due imperi.

La famosa divisione di Teodosio del 395 non fu che una delle tante divisioni amministrative del territorio imperiale (suddivisioni che hanno i loro inizi già da Augusto) che, pur governato da due imperatori colleghi, rimase sempre unito come un unico Stato romano. Se eliminiamo questo concetto fondamentale, per esempio non capiremo mai le continue aspirazioni dei Romani durante il medioevo, da Giustiniano in poi, di riportare sotto l’egida imperiale l’occidente.

In questo Stato romano che prosegue senza soluzione di continuità si vive, ovviamente, sotto la legge romana. Una legge che si evolve su e da modelli romani, continuamente in aggiornamento per mano di diversi imperatori (Teodosio II, Giustiniano, Leone III etc.), che si preoccupano di semplificare e ordinare, e quando serve archiviare, le vecchie leggi. In occidente, invece, il diritto si fondava principalmente sul Codex Theodosianus, mentre il Corpus Iuris Civilis di Giustiniano non è riscoperto fino all’XI secolo: nello stesso periodo, nell’impero romano, quest’ultima opera era obsoleta da quasi tre secoli.

Un altro concetto fondamentale è quello della cittadinanza. Per il periodo medievale dell’impero romano è un tema ancora poco studiato, ma ciò che sappiamo è che la Constitutio Antoniniana del 212 (meglio noto come Editto di Caracalla) stabiliva che tutti gli abitanti liberi dell’impero fossero cittadini romani. Considerando che tale provvedimento non è mai stato abrogato, la cittadinanza romana è passata di generazione in generazione, fino alla fine dell’epoca medievale.

Cittadini romani, che vivono sotto la legge romana, nello Stato romano. Cos’altro serve per ammettere che i “bizantini” sono un’invenzione?

2. “Non sono Romani, parlavano greco!”

Questa argomentazione è forse quella che va per la maggiore, quando si vorrebbe dimostrare che “Bisanzio” non è l’impero romano, con una certa tendenza anche ad attribuire una valenza di tipo etnico-culturale al fatto che i “bizantini” parlassero greco e non latino. Ma questa argomentazione, oltre a essere estremamente semplicistica, è una delle più fallaci.

A parte il fatto che, anche prima della Constitutio Antoniniana, essere cittadini romani era un fatto puramente legislativo e di aderenza a un certo modello culturale, non linguistico o etnico (ovvero, potenzalmente chiunque poteva diventare cittadino romano, con i giusti requisiti); prima di tutto dobbiamo ricordare che già dall’inizio i Romani utilizzavano anche il greco. Lo Stato romano nasce e si sviluppa in un mondo fortemente ellenizzato ed ellenofono, con il quale si confronta continuamente. Basti ricordare che le prime opere storiografiche romane di Quinto Fabio Pittore e Lucio Cincio Alimento sono redatte proprio in lingua greca (il primo a comporre un’opera storiografica latina sarà Catone il Censore).

Da prima che fossero conquistate a partire dal II secolo a.C., le regioni orientali dell’impero romano erano state ellenofone, sin dal periodo delle conquiste di Alessandro il Grande . Con l’occupazione romana di questi territori la situazione ovviamente non cambiò, se non per quanto riguarda i vertici e l’esercito (ci torneremo subito): è impensabile pensare che un così vasto numero di persone, su un’area così estesa, cambiasse la propria lingua in un battito di ciglia solo perché erano passati sotto un altro Stato.

Per fare un esempio più vicino a noi: le popolazioni della Lombardia e il Veneto, una volte annesse all’impero austriaco nel XVIII secolo, all’improvviso non hanno certo iniziato a parlare tedesco, e neppure nel corso del tempo.

Senza contare che, in uno Stato così multietnico come quello romano, la presenza di lingue che non fossero il latino era comunemente accettata, il mondo romano è sempre stato un mondo latino e greco. Il fatto che nel VII secolo si passi ad usare, non solo per l’uso corrente ma anche per quello amministrativo e di corte, in modo preponderante e definitivo il greco non è certo un cataclisma che nega la romanità dell’impero, ma una conseguenza dei tempi e degli avvenimenti in atto. In uno Stato romano del quale è rimasta intatta la parte orientale, e dalla quale vengono anche le classi dirigenti e gli eserciti inviati a controllare l’Occidente riconquistato, è naturale iniziare a non utilizzare più le vecchie e ormai artificiose diciture latine e a utilizzare solamente quelle greche (che, questo deve essere chiaro, già esistevano affiancate a quelle latine da secoli), adattando quindi anche la lingua della burocrazia (e anche in questo il greco già era usato nell’evo antico) alla lingua ormai maggiormente parlata.

C’è però un ambito dove il latino, almeno nelle terminologie tecniche, rimase incontrastato e molto forte per tutta la durata dell’impero, costituito dall’elemento fondante e reggente lo Stato romano: l’esercito.

Ovviamente non bisogna pensare che l’esercito romano medievale parlasse correntemente il latino, visto che era composto da cittadini ellenofoni, ai quali erano affiancate truppe alleate e stipendiate straniere; ma esiste tutta una serie di termini, che certo possono aver mutato significato nel corso del tempo (questo già si vedeva con il latino, e si vede tutt’oggi con le lingue “vive”), ma che nella maggior parte del tempo rimasero invariati come forma e significato, seppur adattati alla pronuncia greca. Giusto per fare qualche esempio, direttamente dal X-XI secolo: contubernium/kontoubernion; cassis/kassis (l’elmo); centurio/kentarchos o hekatontarkos (in questo caso, si assiste alla traduzione letterale); turma/tourma; scutum/skoutarion; e così via, la lista sarebbe molto lunga.

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Un frammento da una copia in greco della Constitutio Antoniniana, volgarmente conosciuta come “Editto di Caracalla”.

3. I Romani per le potenze straniere

Ancora più indicativo, a mio avviso, del fatto che gli abitanti dell’impero chiamassero sé stessi Romani (e del resto, come altro avrebbero dovuto chiamarsi?), è il fatto che durante l’epoca medievale, i popoli confinanti e aventi rapporti con l’impero sapessero perfettamente di avere a che fare con i Romani.

E questo si evince sia quando li definiscono Romani, sia quando li definiscono, in tono più che altro denigratorio, Greci.

Penso basti portare qualche esempio lampante. Il termine arabo per i Romani durante il medioevo, adottato dagli Ottomani, è rhum, cioé romano. E non è infatti un caso che uno dei maggiori sultanati turchi selgiuchidi in Anatolia si chiamasse Sultanato di Rum (ovvero, stabilito su terre romane), e che il territorio ottomano balcanico prendesse il nome di Rumelia (ovvero, terra dei Romani). Gli imperatori romani erano conosciuti come Qaisar-e-Rum o Kayser-i Rum (letteralmente, Cesare dei Romani), titolo del quale gli imperatori ottomani vollero fregiarsi dopo la definitiva conquista di Costantinopoli nel 1453, quasi a voler continuare una linea che, però, era a quel punto definitivamente spezzata.

Gli Armeni, altro popolo confinante, chiamavano gli abitanti dell’impero horhoms.

Non casualmente, invece, sono proprio gli occidentali a definire “Graeci” i Romani durante il medioevo. Escluso il caso non chiarissimo degli usi nordici di Grikkland e Grikkir (si può solo capirne la derivazione dal latino), questo uso del termine “Greci” ha una forte valenza spregiativa e, soprattutto, politica.

Se da una parte troviamo il termine Graeculi utilizzato in modo denigratorio dallo storico longobardo Paolo Diacono (che altrimenti nella sua Historia Langobardorum definisce i Romani sempre con il loro giusto nome), dall’altra notiamo che a usare termini quali Imperator Graecorum sono soprattutto gli imperatori germanici occidentali dopo il IX secolo, i quali si fregiavano del titolo (illegittimo) di Imperator Romanorum e avevano pretese di dominio universale al pari degli imperatori romani. In altre parole: se si sentiva il bisogno di screditarli, in occidente si era perfettamente consapevoli che l’impero romano e i suoi imperatori erano ancora in piedi.

Del resto, questo uso era gentilmente ricambiato dai Romani stessi nei confronti degli occidentali, verso i quali andava per la maggiore la denominazione di “Franchi”, a volerne sottolineare l’origine germanica e, soprattutto, “barbarica”.

Leggi l’approfondimento Manuele II Paleologo e il viaggio in Occidente (1399): la testimonianza di Adam di Usk

4. “Da quando viene introdotto il cristianesimo, non sono più Romani!”

Spesso accompagnata dalla frase demenziale “Giuliano l’Apostata fu l’ultimo vero imperatore romano!”, questa argomentazione, se così vogliamo chiamarla, non avrebbe neppure bisogno di risposta, da tanto è ridicola.

Il cristianesimo si è affermato solo dopo un processo durato almeno tre secoli, e all’inizio non era altro che una delle innumerevoli nuove religioni orientali che i Romani iniziarono a praticare. Con l’inizio della tarda antichità, semplificando un po’ il discorso, arriva a essere una delle principali religioni dell’impero, affiancate a culti come quello del Sol Invictus e di Mitra: tutti chiari segnali che, ad ogni modo, il mondo romano stava già naturalmente tendendo verso culti principalmente monoteisti. Alla fine, come penso sia noto a tutti, il cristianesimo vinse perché, oltre al supporto imperiale, aveva già al suo interno una struttura gerarchica tale da permetterne un’organizzazione su vasta scala, che alle altre religioni mancava del tutto.

Quando il cristianesimo divenne la religione forse più praticata nell’impero, anche dagli imperatori (anche qui, semplificando: sin dal principio, vi furono in periodi diversi imperatori aderenti a questa o quella eresia), ed essendo di fatto l’imperatore a capo della Chiesa e della cristianità, ci volle poco a formulare il concetto che, per conferire stabilità allo Stato, così come vi era un solo imperatore doveva esserci una sola religione (e di questa religione, una versione sola). Questo spiega i provvedimenti dell’imperatore Teodosio tra 380 e 391-392.

Non si negherà qui la realtà: i pagani erano ancora molti, e quando questi provvedimenti furono messi in atto ne seguì una scia di intolleranza e, spesso, di sangue. Bisogna però essere intellettualmente onesti: questo è un cambiamento sì epocale, ma non meno del passaggio dello Stato romano dalla repubblica all’impero, per il quale nessun uomo di oggi si cruccia particolarmente, ma che invece per moltissimi Romani dell’antichità, fino almeno all’epoca della dinastia flavia, fu un passaggio duramente sofferto e mal digerito. Mi pare, insomma, che si faccia del doppiopesismo storico, senza misurare gli eventi con la giusta obiettività.

L’adozione del cristianesimo fu uno di quei molti cambiamenti, importanti e gravidi di conseguenze, che erano avvenuti e continuarono ad avvenire nel mondo romano. E soprattutto, in nessun modo segna la “fine” della romanità, poiché è la romanità a fare proprio il cristianesimo: da quel momento in poi, definirsi Romano ma non cristiano diventerà una cosa impensabile.

Una storia di cambiamenti

Questi pochi punti chiaramente non sono che la punta di un iceberg ben più grande, ma reputo che già da soli dimostrino che “Bisanzio” è un’invenzione e che bisogna iniziare sempre di più a chiamare con il suo nome, anche per il medioevo, l’impero romano. Quello che si deve evincere e che dovrebbe rimanere maggiormente impresso, è il fatto che la storia dello Stato romano sia, prima di tutto, una storia di continui adattamenti, cambiamenti, evoluzioni, e che dobbiamo essere capaci di abbattere molti preconcetti e schemi mentali che ci portiamo appresso.

Per chiudere, vorrei citare le parole del grande bizantinista Georg Ostrogorsky. Per quanto i suoi studi siano in buona parte superati, Ostrogorsky rimane una pietra miliare negli studi storici, e nelle prime pagine di “Storia dell’impero bizantino”, sintetizza quanto espresso nei punti sopra molto meglio di quanto non potrei mai fare io:

“La storia bizantina è in primo luogo un nuovo periodo della storia romana e lo Stato bizantino nient’altro che una continuazione dell’antico impero romano. Il termine ‘bizantino’, com’è noto, sorgerà solo molto più tardi e i veri ‘bizantini’ non lo conoscevano. Essi continuavano a chiamarsi ‘Romani’ (Ῥωμαῖοι), gli imperatori bizantini si consideravano imperatori romani, successori ed eredi dei Cesari dell’antica Roma. Essi restarono dominati dal prestigio del nome di Roma per tutto il tempo che visse il loro impero, e fino all’ultimo la tradizione dello Stato romano dominò il loro pensiero e la loro volontà politica. L’impero, eterogeneo dal punto di vista etnico, fu tenuto insieme dal concetto romano di stato e la sua posizione nel mondo fu determinata dall’idea romana di universalità.”


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