Il grido di guerra nell’esercito romano

Nel nostro immaginario, il legionario romano in battaglia avanza in assoluto silenzio, al massimo battendo le armi sugli scudi per intimorire il nemico.

Ma quanto è accurata questa immagine?

A guardare le fonti, è particolarmente nel periodo del Principato che i legionari romani sembrano apparentemente preferire il silenzio assoluto.

Come riporta per esempio Dione Cassio, descrivendo la battaglia di Waitling Street del 60 d.C. contro i Britanni di Budicca:

“I due eserciti si avvicinarono, i barbari con gran rumore mescolando grida e minacciosi canti guerreschi, i Romani ordinati e silenziosi, finché arrivarono a un lancio di giavellotti dal nemico. A questo punto, mentre l’avversario continuava ad avanzare al passo, ad un segnale i Romani accelerarono e caricarono a tutta velocità, e al momento dell’impatto non ebbero difficoltà a scompaginare le fila del nemico.”
[Cassio Dione, Historia Romana, 62.12.1-2]

Tuttavia, anche un passo come questo lascia il dubbio che, in realtà, i Romani si comportassero anche in questo periodo come facevano prima, ovvero lanciando un urlo di guerra almeno al momento della carica.

Come accenna Polibio, che scrive nel II sec. a.C., “[I Romani] caricavano il nemico lanciando il loro grido di guerra e sbattendo le armi contro lo scudo, secondo il loro costume.”
[Polibio, Historiae, 15.12.8]

Per i Romani, lanciare un possente grido di guerra e rendersi spaventosi al nemico era fondamentale nel periodo repubblicano. Lo stesso Catone il Censore in gioventù, come racconta Plutarco, avanzava in battaglia contro i nemici lanciando minacce e gridando, poiché secondo lui “tali azioni terrorizzano il nemico più della spada”. (Plutarco, Cato Maior, 1.6).

Lanciare il grido di guerra era, per i soldati romani, un elemento psicologico molto importante, specie se si combatteva contro avversari stranieri o, nelle guerre civili, contro reclute inesperte.

Se al contrario ci si trovava a fronteggiare nemici esperti, il grido di guerra era considerato superfluo. Ne è un esempio il comportamento dei legionari veterani che si affrontano alla battaglia di Forum Gallorum nel 43 a.C., come descritto da Appiano:

“Dal momento che erano tutti veterani, non si curavano nemmeno di lanciare il grido di guerra, perché non potevano certo aspettarsi di spaventare il nemico; nemmeno durante la mischia levarono una voce, né da vincitori né da vinti. […] Le reclute che venivano fatte affluire sul luogo dello scontro rimasero frastornate dallo stupore mentre osservavano simili gesta compiute con tanta abilità, e in quel silenzio.”
[Appiano, Guerre civili, 3.68]

Leggi anche Scontro tra veterani. La battaglia di Forum Gallorum (43 a.C.)

Dalle parole di Appiano, sembra anche evidente che il grido di guerra venisse lanciato dai Romani anche prima del momento della carica, come deterrente ed espediente di guerra psicologica.

La tradizione del grido di guerra prosegue nel tardo antico, ma cambia forma e modalità.

Nel IV secolo, Ammiano Marcellino descrive un particolare grido di guerra diventato tipico delle legioni romane, il “barritus”:

“I Cornuti e i Bracchiati […] lanciarono anche un altissimo grido di guerra. È da principio un tenue mormorio che si leva nell’ardore del combattimento, ma prende a poco a poco maggior consistenza e s’innalza come i flutti che s’infrangono sulle scogliere.”
[Ammiano Marcellino, 16.12.43]

“I Romani lanciavano all’unisono da ogni parte il grido di guerra, chiamato nella loro lingua ‘barritus’, che, debole da principio, cresce poco a poco e in tal modo si rianimavano.”
[Ammiano Marcellino, 31.7.11]

Anche in questo caso, è evidente che i Romani favorivano lanciare il loro grido di guerra tanto prima che durante il combattimento.

Su una simile linea si muove lo Strategikon dell’imperatore Maurizio, che per il VI-VII secolo riporta almeno due gridi di battaglia specifici degli eserciti del periodo, lanciati al momento della carica o prima di entrare a contatto con il nemico: “Deus Nobiscum!” e “Adiuta, Deus!” (Str. 2.18; 12, B, 16).

Tuttavia, l’autore del trattato, per quanto pensi non sia sbagliato lanciare tali grida nel momento in cui lo scontro sia già iniziato, specie dalle fila posteriori, raccomanda un silenzio assoluto e per il possibile di non lanciare grida di guerra al momento della carica.
Secondo lui, infatti, ciò avrebbe potuto far sì che i soldati più animosi si lanciassero in avanti, i più timorosi restassero indietro e, se fatto da dei cavalieri, che i cavalli potessero spaventarsi, facendo perdere coesione allo schieramento.

Per il periodo medievale, le fonti sono meno certe a riguardo. Pare comunque che la tradizione del grido di guerra sia rimasta, poiché alcuni studiosi riportano grida di battaglia come “Stauros Nika!” ancora lanciate dagli eserciti imperiali.

L’amico Gioal Canestrelli ha trattato in un recente video lo stesso tema, portando ulteriori fonti e riflessioni.


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