Il corvo. Una storia simbolica

Molte civiltà antiche, non solo nel bacino del Mediterraneo, veneravano o consideravano sacri alcuni particolari animali, ritenendo che avessero particolari legami col mondo divino o con l’universo ultraterreno.

In un’altra serie di articoli, ci siamo occupati del gatto, e di come questo felino fosse visto presso gli Egizi, i Greci e i Romani.
Questa volta, invece, prenderemo in esame un uccello il cui piumaggio scuro e il gracchiare sinistro hanno sempre affascinato l’animo umano: il corvo.

Il corvo era l’uccello solare per antonomasia, il creatore del Mondo, il messaggero degli dèi, la guida delle anime nel viaggio ultraterreno, l’unico animale in grado di prevedere il futuro e capire il senso di tali visioni.

Nell’Europa antica e medievale erano molti i popoli che avevano in questo uccello un vero e proprio oggetto di culto, in particolare Slavi, Celti e Germani.

Nel mondo greco il corvo era associato a molte divinità (in particolare, ad Apollo), ma non era considerato fondamentale per il culto.
Questo uccello era visto come un essere ambiguo e contraddittorio: intelligente ma vanitoso, perspicace ma iracondo, loquace e omnisciente.

Nel mondo romano, il colore nero del suo piumaggio non suscitava né diffidenza né paura. Anzi, sono molti gli autori latini che tessono le lodi del corvo e lo considerano il migliore tra i volatili.

Il corvo presso i Celti

Nelle lingue celtiche, come il gaelico o il gallese, il corvo è indicato col termine bran.

Questo sostantivo può però riferirsi anche alla cornacchia, dato che per molte culture questa era considerata la femmina del corvo (come invece sappiamo noi oggi, la cornacchia è un uccello diverso, anche se appartenente alla famiglia dei corvidi).

Il corvo era attributo del dio Lug (“Lugos” in Gallia, “Lugh” in Irlanda), una delle principali divinità del pantheon celtico, il quale ascoltava sempre il parere dell’animale.

Per i Celti d’Irlanda, i corvi erano spesso associati alla guerra e alle battaglie. Erano infatti attributi della dea della guerra, Morrigan.

Altra divinità celtica che poteva assumere le sembianze di un corvo era Bodb, nota anche come Cathubodva (“Corvo della Battaglia”), sorella di Morrigan e ancora più temibile, amante del sangue e delle maledizioni. In battaglia non soccorreva mai i guerrieri, ma ne attendeva la morte per impadronirsi dei loro crani.

Elmo celtico dalla necropoli di Ciumești, in Romania, IV secolo a.C.

Molte sono le leggende e i miti celtici che parlano di come uno o più corvi siano collegati alla fondazione di città, costruite nei pressi di santuari dedicati al dio Lug: Lione, Londra, Lugano, Loudun, ecc…

A Lione, ad esempio, la collina di Fourvière era un luogo sacro già prima del 43 a.C., anno della fondazione romana della città, la quale mantenne il nome latinizzato di Lugdunum, che potrebbe significare “la collina di Lug” (come tramanda nel II secolo d.C. lo Pseudo-Plutarco), o “la collina dei Corvi”.

Lo Pseudo-Plutarco, nel De Fluviis (un trattato di geografia nel quale era studiata l’etimologia dei nomi di alcuni luoghi), sempre a proposito di Lione, mise in relazione il toponimo Lugdunum con la voce gallica lougos, ovvero corvo, per poi porla in relazione al greco logos, ossia parola.
Spiegava infatti come il corvo fosse l’uccello che possedeva il dono della favella.

Nel caso di Londra, la faccenda è molto più complessa.
Il nome latino della città, nonché il primo attestato, è Londinium, che secondo alcuni studiosi potrebbe essere la forma alterata di un precedente toponimo (Lougdounon o Lugdunum, ossia la fortezza di Lug), ma sul piano filologico è ancora tutto da dimostrare.

Il corvo presso i Greci

Per i Greci, il corvo/cornacchia era attributo di Apollo, dio del Sole, della musica, delle arti.

Alcune leggende vorrebbero che nell’estremo Nord, nel paese degli Iperborei, dove ogni anno si ritirava il Dio, vivesse un corvo al quale la divinità si affezionò moltissimo, e del quale avrebbe fatto il suo uccello prediletto, apprezzandone soprattutto la memoria e la chiaroveggenza.

Inizialmente, il corvo secondo il mito era bianco, ma il suo colore venne tramutato in nero da Apollo per punizione. Esistono due versioni differenti riguardo alla mutazione del colore del corvo.

La prima versione, riportata nel secondo libro delle Metamorfosi di Ovidio (II, 531-632), è il mito di Coronide, bellissima principessa tessala, amante di Apollo e di lui incinta.

Apollo, dovendosi assentare per un lungo periodo di tempo, lasciò a guardia della fanciulla il suo fidato corvo bianco. Ma l’animale perse di vista Coronide, che sposò un mortale, Ischi. L’uccello finalmente trovò Coronide, sorprendendola insieme a Ischi, e riferì ad Apollo ciò che aveva visto.

Apollo, infuriato per la mancanza del suo corvo, punì il malcapitato uccello cambiando il colore del suo piumaggio da bianco a nero.
Quanto agli amanti, vennero entrambi uccisi da Apollo. Si salvò solo il figlio, Asclepio (Esculapio per i Romani), il quale sarebbe diventato il dio della medicina.

Kylix attica a fondo bianco, 480 – 470 a.C., Delfi, Museo Archeologico

In un secondo mito, Apollo chiese al suo corvo di prendere dell’acqua da una fonte sacra.
L’uccello tuttavia si attardò per vedere se fosse maturi dei fichi che aveva notato lungo il cammino, dimenticandosi anche di prendere l’acqua richiesta. Al ritorno, il corvo giustificò il proprio ritardo e la mancanza dell’acqua, dicendo di esser stato aggredito da un serpente.
Apollo intuì subito che si trattava di una menzogna e punì l’uccello, mutando il suo piumaggio da bianco a nero.

Un altro mito che vede protagonista i corvidi è riportato nuovamente da Ovidio nelle sue Metamorfosi (II, 569 – 588). Si tratta del mito di Coronea (o Cornix), figlia del re Coroneo della Focide, il cui nome ricorda quello della cornacchia (koroné).
Coronea era desiderata da Nettuno. La principessa focidese, inseguita dal dio, chiese aiuto agli dèi per sfuggire alla sue mire, ma le sue suppliche furono udite solo da Minerva, che la mutò in una cornacchia e divenne sua compagna – almeno finché non decise di sostituirla con Nittimene, trasformata nella ben più famosa civetta.

I Romani e il corvo

A differenza dei Celti, i Romani non celebravano il culto del corvo, anche se ne ammiravano la memoria, l’intelligenza, e il dono della preveggenza, così come i Greci.

Tuttavia, proprio per l’estraneità del corvo rispetto all’apparato religioso e sacrale romano, un episodio della Storia romana potrebbe far pensare a un calco e all’inversione proprio di un mito gallico.

Si tratta del duello tra il comandante dei Galli e Marco Valerio alla battaglia dell’Agro Pontino del 349 a.C.
Secondo la tradizione, come riportata da Dionigi di Alicarnasso e Tito Livio, un corvo volò sul campo di battaglia e si posò sull’elmo di Marco Valerio, aiutando il Romano a vincere il duello contro il celta, disturbando quest’ultimo con le sue ali, col suo gracchiare e le beccate al volto.

Finito il combattimento, il corvo volò via, verso Oriente – segno benaugurante: i Romani infatti vinsero lo scontro che seguì il duello.

A seguito della battaglia dell’Agro Pontino, Marco Valerio assunse il cognomenCorvus“.

Possibile corvo da un affresco pompeiano – nel caso, potrebbe trattarsi di un gracchio corallino, corvo dal tipico becco e zampe rosse.

Nel I secolo d.C., anche Plinio il Vecchio scrisse del corvo nel Libro X della sua Naturalis Historia.

Nel testo, si dà l’impressione di ammirarlo più di ogni altro uccello e ne vengono decantati la sagacia, la prodigiosa memoria, il carattere amichevole, la capacità di parlare.

A tal riguardo, l’autore latino riporta un sorprendente aneddoto (Naturalis Historia X, 60) di un corvo nato a Roma in un tempio, che venne trovato da un calzolaio.
L’uomo lo addomesticò, gli insegnò molte parole e persino a pronunciare frasi. Ogni mattina, il pennuto raggiungeva il Foro e salutava le statue dell’imperatore Tiberio, Germanico e Druso.

Questo divenne subito popolare tra la folla, che si fermava volentieri ad ascoltarlo.

Tuttavia un giorno, un calzolaio invidioso e vendicativo uccise il corvo. Tanta fu la commozione tra il popolo che il colpevole venne catturato e condannato a morte, mentre per il corvo venne organizzata una cerimonia funebre solenne con un corteo tutto lungo la via Appia, dove venne sistemata una pira.

Nello stesso libro, Plinio riporta anche che ai suoi giorni a Roma vi era un uomo di rango equestre che possedeva un corvo nerissimo, importato dalla Baetica, che sapeva dire diverse parole e frasi, continuando allo stesso tempo a impararne di nuove.
Sempre Plinio racconta anche di un tale Cratero, abitante dell’Asia Minore che andava a caccia con l’ausilio di corvi addestrati.

Un altro autore latino, Claudio Eliano compilò agli inizi del III secolo una raccolta di aneddoti e fatti a proposito di animali.
Egli afferma che non soltanto la maggior parte dei corvi è capace di apprendere in parte la lingua umana, ma anche di imitare ogni genere di rumore e verso.

Come Plinio il Vecchio prima di lui, Eliano precisò che era possibile distinguere nel verso del corvo ben sessantaquattro inflessioni differenti. Altri autori, come il grammatico Festo o lo storico Dione Cassio Cocceiano andarono oltre, individuando nel verso del corvo effetti ritmici, intonazioni e intensità che permettevano ai corvi di comunicare tra loro, rendendoli così gli uccelli più loquaci e intelligenti.

Questo discorso sulle varie inflessioni del verso dei corvi, solitamente dava a questi autori latini l’opportunità di affrontare il tema della divinazione.
Certamente il volo o il comportamento dei corvi non erano gli unici a essere osservati per trarre auspici e messaggi.
Sembrerebbe però che questi fossero i più ascoltati rispetto a quelli di altri volatili perché, come ricorda Plinio, “sembrano essere i soli uccelli a rendersi conto del significato di ciò che presagiscono”. Il che avrebbe due spiegazioni: la prima, legata ancora una volta alla loro intelligenza; la seconda, al fatto che a parlare per mezzo loro sarebbe stato Apollo stesso.
Ne conseguiva, dunque, che i presagi dei corvi non erano mai vani.

Un corvo silente spaventava di più di un corvo che gracchiava. Del resto, caso raro nella lingua latina, abbiamo ben due termini per distinguere il gracchiare di un corvo: crocire (quando il verso è rauco e l’animale appare minaccioso o scontento) e coracinare (se al contrario sembra di umore buono o cantare).

Su coracinare si soffermò Isidoro di Siviglia (Etimologie XII, 7, 43), all’inizio del VII secolo, per spiegare l’origine del termine latino corvus: “corvus, sive corax, nomen a sono gutturis habet, quod voce coracinet” (“il corvus, o corax, deve il nome al suono della gola, la cui voce gracchia”).

Isidoro sembra essere uno degli ultimi autori a vedere nel corvo dei messaggi o degli auspici positivi. Con l’avvento della religione cristiana, la figura del corvo sarà infatti osteggiata e vista in modo estremamente negativo, come avremmo modo di vedere più avanti.

Mosaico dalla “Casa del Malocchio”, da Antiochia. Tra gli altri, il Malocchio è attaccato anche da un corvo. II sec. d.C.

I corvi nel mondo germanico e scandinavo

Nel mondo scandinavo, il corvo era al servizio di una della maggior divinità del pantheon nordico: Odino.

I suoi due corvi erano Huginn (il Pensiero) e Muninn (la Memoria). Questi due animali si riteneva che viaggiassero nell’Universo e che riferissero al dio ciò che avevano udito e visto. Essi conoscevano ogni cosa: il passato, il presente, e il futuro, le insidie dell’animo umano.

Il Dio ascoltava i consigli dei due volatili perché essi incarnavano la saggezza e la conoscenza.

Il ruolo dominante e di primo piano del corvo nel mondo scandinavo e germanico aveva reso questo animale l’oggetto di culto e venerazione presso molti popoli del Nord Europa. Il corvo aveva una valenza simbolica e apotropaica in grado di proteggere e respingere le forze maligne, oltre a fungere da mediatore tra il mondo dei mortali e quello divino.

Venivano addirittura fabbricati numerosi oggetti e talismani a forma di corvo o con parti di questo, da portare con sé in battaglia o durante i viaggi.

Coppia di fibule visigote. Usualmente interpretate come aquile, potrebbero in realtà rappresentare dei corvi – VI secolo d.C.

Nella cultura germanica erano molti i nomi costruiti su quelli di animali: lupi, orsi, cervi, cinghiali, falchi, cigni e, ovviamente, corvi.

Diversi nomi maschili traevano la propria origine da quella del corvo (hrabna nel germanico comune): Berthram, Chramsind, Guntrham, Hraban, Ingraban, Wolfram, ecc.
La maggior parte di questi nomi germanici, nonostante fossero anche osteggiati in seguito dalla Chiesa, sopravvissero fino al pieno Medioevo, e in forme diverse o alterate son giunti fino a nostri giorni.

I corvi e il cristianesimo

Con l’avvento della religione cristiana, la fortuna del corvo cadde in declino.

Per screditare il pennuto, i Padri della Chiesa e i loro seguaci trovarono ben pochi, anche se convincenti, riferimenti nei Testi Sacri.

Il passo più celebre riguardo a un corvo è sicuramente la vicenda dell’arca di Noè (Genesi, 7, 8, 1-19), in cui si narra che la pioggia cadde per quaranta giorni e quaranta notti, finché persino i monti furono sommersi dalle acque. L’inondazione perdurò ancora per altri centocinquanta giorni.
Quando le acque iniziarono a defluire, Noè, per scoprire se la terra fosse di nuovo abitabile, inviò un corvo, il quale però andò e tornò senza portare buone nuove – come farà poi la colomba.
Nelle rappresentazioni artistiche medievali, il corvo che esce dall’Arca, invece che impegnarsi nella sua missione, si ferma a mangiare carogne di uomini o animali (ciò è per esempio visibile in uno dei mosaici dalla basilica di S. Marco a Venezia).

In altri passi, l’uccello continua a esser mal visto, considerato impuro, profittatore, inquietante, appare funesto e malefico.

Nel Libro dei Salmi o in quello di Giobbe si dice che i piccoli dei corvi sono nutriti dal Signore, poiché, dato che nascono candidi, essi non son riconosciuti dai genitori, che li lasciano morire di fame, finché non assumono il caratteristico nero piumaggio. Qui, il testo sacro sembra riprendere una credenza popolare, che si ritrova anche in Plinio il Vecchio e in Eliano, e che godrà di enorme fortuna anche nel Medioevo.

Altro passo biblico in cui si parla del corvo, ma in modo del tutto differente, è quello del profeta Elia, narrata nel I Libro dei Re, in cui due corvi son inviati da Dio stesso a nutrire il profeta. Questo sembra però essere un caso unico e isolato fra tutti gli scritti veterotestamentari.

Per costruire il discorso sugli animali, corvo compreso, i Padri della Chiesa non hanno che pochi testi a disposizione, soprattutto la Bibbia e la Naturalis Historia di Plinio il Vecchio.
In particolare, sembrerebbe che S. Gerolamo e S. Agostino siano stati assidui lettori dell’autore latino. Il primo lo riteneva di fondamentale importanza, stabilendo così un legame solido e duraturo tra i testi sacri e il sapere antico.
Al contrario, Agostino non ammirava Plinio, ritenendolo un autore scettico e pessimista, che negava l’esistenza del divino. Inoltre, a differenza di Gerolamo, per Agostino l’uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio, non andrebbe confuso con il resto degli animali del creato, visti come impuri.

Due animali in particolare diventarono le vittime predilette della dialettica di Agostino: l’orso e il corvo.

Agostino fu il primo a ritenere che nel gracchiare dell’animale si distinguessero le parole “cras, cras“, ovvero “domani, domani”.
Di conseguenza, il Padre della Chiesa associava il volatile all’uomo, che, macchiato dei suoi peccati, rimandava sempre al giorno successivo il proprio pentimento. In alternativa, il gracchiare del corvo diventava ammonimento all’approssimarsi della morte.

Assai diffuse, tuttavia, erano anche leggende di corvi che portavano cibo a eremiti nel deserto (sant’Antonio abate, san Benedetto, sant’Onofrio, san Paolo Eremita). Il corvo era anche attributo di san Vincenzo di Saragozza.

Dettaglio di una pagina miniata del Pentateuco di Tours, nel quale sono rappresentate le vicende di Noè, il corvo e la colomba.

La sradicamento del culto del corvo

Il culto del corvo, come accennato, era molto diffuso nell’Europa Settentrionale. I cristiani dovettero ingegnarsi non poco per sradicare la venerazione di questo animale.

Tra l’VIII e il X secolo d.C., per tutti i territori dell’attuale Germania, si compirono massacri per sterminare il maggior numero di corvi possibile, portandoli quasi sull’orlo dell’estinzione. Ovunque la religione cristiana tentò di sopprimere antichi culti pagani o di sostituirsi ad essi.

La Chiesa si occupò di combattere e osteggiare i culti legati al corvo, sostituendo le festività pagane con quelle cristiane o creandone di nuove. Ciò accadde fra il III ed il VI secolo nelle città, ma nelle campagne i processi di cristianizzazione furono decisamente più lenti.

Dal VI secolo, con l’espansione del culto dei santi e la progressiva istituzionalizzazione di un gran numero di festività, ci furono numerose occasioni per rivoluzionare i calendari.

Man mano si crearono tutta una serie di nuove feste che andarono a soprapporsi a quelle antiche e pagane, soprattutto a quelle dedicate al corvo.
Due esempi: Lugnasad, festività celtica di fine luglio, venne sostituita da quelle di ben tre sante e un santo (Maria Maddalena, Marta, Giacomo, ed Anna); Samhain, che pare coincidesse anche con una festività germanica legata al culto del corvo, venne rimpiazzato da Ognissanti.

Bibliografia (clicca i link qui sotto per acquistare la tua copia del libro)

J. Hall 1974, Dizionario dei soggetti e dei simboli nell’arte

P. Li Causi 2018, Gli animali nel mondo antico

M. Pastoureau 2008, Nero. Storia di un colore

M. Pastoureau 2021, Il Corvo. Una storia culturale


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