I gatti nell’antica Roma. (1) Il periodo repubblicano

Quando pensiamo al gatto, pensiamo subito a quelle graziose palle di pelo che giocano, che dormono tutto il giorno ma corrono tutta la notte, e che fanno tante fusa.

Il gatto è ormai un compagno inseparabile dell’essere umano.

Ma il gatto è sempre stato considerato come animale da compagnia per eccellenza?

Mentre nel mondo egizio questo animale riveste un’importante valenza mistico-religiosa, e se nella Grecia antica era generalmente apprezzato, nel corso della Storia romana il gatto va incontro a una diversa considerazione nel corso del tempo.

Prima di occuparci del gatto in ambito romano, dobbiamo tuttavia prima esplorare la presenza del felino più in generale nell’Italia antica.

Leggi anche I gatti nell’antica Roma. (2) Il periodo alto imperiale

I gatti in Italia: i resti archeologici

Secondo una credenza ancora radicata, il gatto domestico sarebbe apparso in Italia solo a seguito della conquista romana dell’Egitto, nel 30 a.C.

Se è indubbio che la riduzione dell’Egitto a provincia abbia contribuito alla diffusione del gatto domestico in tutta Europa, la presenza di gatti domestici in Italia ha tuttavia un inizio ben più remoto.

Le prime testimonianze certe di gatti domestici nella Penisola risalgono infatti almeno all’VIII secolo a.C., a seguito della colonizzazione greca del Sud Italia (anche se non è da escludere un presenza già anteriore, con i Micenei).

Ciò è ben dimostrato dagli scavi archeologici nei pressi di Fidene, borgata a nord di Roma, effettuati tra il 1986 ed il 1993.
In un’abitazione protostorica dell’Età del Ferro, distrutta da un incendio, furono infatti rinvenuti i resti di un gatto (che sfortunatamente fu proprio vittima dell’incendio della capanna).

Ulteriori prove archeologiche della presenza di gatti domestici in Italia, datate tra V e III sec. a.C., sono state rintracciate da studiosi come Michael Mackinnon.
I resti di questi esemplari vennero rinvenuti nelle cittadine di Selle e Ostia. Ostia, in particolare, divenne in epoca imperiale un importante centro di culto della dea Iside e della dea Bastet, divinità legate ai gatti.

Il gatto nell’arte etrusca e magnogreca

Quanto alle prime rappresentazioni artistiche di gatti in contesti italiani, queste provengono dal mondo etrusco, e dimostrano come la presenza del gatto domestico fosse, a partire dal VI sec. a.C., ormai molto ben radicata

Un primo, splendido esempio è una coppa di VI secolo a.C., attualmente conservata al Museum of Fine Arts di Boston.
Forse proveniente da Chiusi, questa ceramica a bucchero mostra sul bordo delle teste feline con grandi occhi, orecchie ritte e triangolari, muso arrotondato.

Un affresco dalla Tomba dei Triclinii a Tarquinia, datato al 479 a.C., ci mostra un simposio. Sotto uno dei triclinii dove sono adagiati i commensali, è raffigurato un gattone che, per il suo manto, ricorda molto un lybica. Il felino sembra molto interessato ai volatili presenti sotto un altro triclinio.

Al tardo V secolo a.C. e alla metà del secolo successivo, risalgono altri esempi fittili, provenienti questa volta da Puglia e Campania. Pezzi realizzati con un leggiadro gusto ellenico, che ben si sposa con la tradizione pittorica del sud Italia.

Possiamo ammirare per esempio un katyle del 400 a.C., che raffigura un giovane stante che stringe nella mano un uccellino. Sopra la sua spalla si sta arrampicando un gatto, che con la zampetta tenta di afferrare il volatile.

Nel registro inferiore di una pelike della metà del IV sec. a.C. vediamo un gatto e una papera affrontati.

Un ulteriore esempio, infine, è dato da una lakane del 330 a.C., con una rappresentazione molto particolare.

Vi sono rappresentate due donne. La prima, completamente nuda, è adagiata su una sedia, mostrata nell’atto di liberare una colomba.
L’altra le è posta di fronte, ma è raffigurata panneggiata e stante, con degli oggetti di forma sferica in mano. Tra le due figure, un gatto, dritto sugli arti inferiori, che cerca di acciuffare la colomba.

Anche qui il gatto rappresentato sembra mostrare le tipiche caratteristiche del lybica. Le sfere tenute in mano dalla giovane potrebbero essere dei giochini per il felino.

Molto meno chiaro è chi realmente rappresentino le due donne.
Secondo alcune ipotesi, potrebbero essere divinità femminili legate alla fertilità. Tuttavia, a mio parere, pur essendo presenti attributi come la colomba, la nudità e l’assenza di calzature, questi non sono elementi bastevoli per sposare la teoria.

Infatti, questa ceramica potrebbe essere semplicemente una prova evidente e chiara dello stretto rapporto fra il gatto e le donne. Un rapporto che ben si esplicita nel mondo romano.

Gatti (e cani) nel periodo repubblicano

A differenza dei Greci, i Romani nel periodo repubblicano non produssero molta letteratura connessa ai gatti.

I Romani di questo periodo amavano di gran lunga di più i cani.

Il cane era l’animale domestico per eccellenza, nonché il più diffuso, specie nelle classi alte della popolazione.
Erano apprezzati per la loro indole leale e fedele, che ben si sposava con i valori romani di pietas e fides.

L’esatto contrario del gatto: animale libero, indipendente e autonomo, caratteristiche che non incontravano il gusto romano.

I Romani avevano infatti un forte senso del dovere, anche aderente al sempre più diffuso pensiero stoico.

Secondo questa filosofia, tutti gli esseri viventi eano connessi in un armonioso tutto, governato dalla Divina Provvidenza. Tutti, anche se in modi differenti, partecipavano all’eredità della ragione (logos) del divino Creatore. Il logos permeava il cosmo e agiva secondo natura, assicurando un’esistenza felice e onorevole non solo per il singolo individuo, ma per l’intera comunità.

In una visione del genere, è chiaro come non vi fosse granché posto per un animale indipendente come il gatto.

Rilievo marmoreo greco datato al VI sec. a.C.

Se i cani in qualche modo rappresentavano il pensiero stoico, i gatti erano irrimediabilmente associati alla dottrina epicurea.

L’epicureismo non si curava degli interessi della comunità, ma pensava solo al bene del singolo individuo, professando un completo disinteresse per la vita politica. Per gli epicurei veniva anche a cadere quanto legato al logos del Creatore, sostenendo che la materia (compresi gli esseri viventi) fosse composta da atomi indivisibili.

Il rapporto privilegiato dei cani rispetto ai gatti nella Roma repubblicana è anche ben testimoniato dalle steli funerarie erette dai padroni per i loro animali.

Se abbiamo infatti numerose testimonianze di steli erette dai Romani per i loro amici cani, descritti negli epitaffi come fedeli e leali anche dopo la morte, per il periodo repubblicano non ne esistono dedicate ai gatti.

Il gatto nelle fonti scritte

Fino al I sec. a.C., non abbiamo riferimenti diretti relativi ai gatti nella produzione letteraria romana. Tuttavia, diversi elementi indiretti ci svelano chiaramente che concezione avessero i Romani di questi felini.

Un primo accenno si trova in due opere teatrali di Plauto (III-II sec. a.C.), “Persa” e “Rudens”. La prima narra le vicende di una giovane, che, in assenza del padre, viene rapita e venduta a un lenone. Quando il padre scopre il misfatto accusa il rapitore di essere un “feles virginaria”.
Lo stesso epiteto compare nella seconda opera, che racconta una vicenda analoga.

Il termine del commediografo latino vuol dire letteralmente “predatore di vergini”.
La parola “predatore” a noi fa proprio pensare alla natura del gatto, che va a caccia di topi, così come l’uomo della commedia va a caccia di giovani fanciulle.

Un simile epiteto sarà usato ancora molti secoli più tardi, nel IV sec. d.C., dallo scrittore Ausonio (“feles pullovia”).

Ceramica greca con cane e gatto, ca. metà V sec. a.C.

Per trovare nuovamente i gatti in letteratura sarà necessario attendere il I sec. a.C.

Il grammatico Varrone, nel parlare dei gatti, fornisce un saggio consiglio: costruire pollai e conigliere per tenere lontani i felini! Con ogni probabilità, nonostante l’indole predatoria del gatto, in questo caso Varrone si riferisce ai gatti selvatici (sylvestris).

Anche Cicerone menziona infine i gatti, visti in relazione alla religione egizia, nelle Tusculanae disputationes, composte nel 45 a.C.
Il testo affronta anche i comportamenti degli animali in generale, ma il punto cardine della dissertazione è proprio la cultura egizia.

Cicerone afferma che gli Egizi fossero disposti a soffrire le più atroci pene, se non addirittura la morte, per rispettare il principio di non far del male ad animali come coccodrilli, cani, cobra e gatti (tutti animali considerati sacri).

L’autore poi prosegue, sostenendo che gli esseri umani dovrebbero imparare, in accordo con i principi stoici, a fare come gli animali, che sopportano freddo e fame e sono disposti a subire ferite e rischiare la vita per i loro cuccioli.

Cicerone parla di tutti gli animali senza distinzione. Indirettamente, quindi, alla fine anche il gatto è diventato un animale stoico!

Leggi anche

I gatti nell’antico Egitto

I gatti nell’antica Grecia

Bibliografia (clicca i link qui sotto per acquistare la tua copia del libro)

D. Engels 2001, Classical Cats

P. Li Causi 2018, Gli animali nel mondo antico

J. Malek 2006, The Cat in Ancient Egypt


7 thoughts on “I gatti nell’antica Roma. (1) Il periodo repubblicano

  1. It seems (Fidene, Chiusi, Tarquinia and so on) the cats were nearer to Etruria and Magna Grecia than ancient Latin Rome…

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