L’avvento della religione cristiana rivoluzionò, in parte, la mentalità dell’uomo romano, e ovviamente anche il suo modo di veder la donna, creandone un’immagine virtuosa, in cui le virtù domestiche e quelle ascetiche si fondevano.
In questo clima, era ben vista una donna che rifiutasse la vita ed i piaceri mondani e, di conseguenza, erano messe in cattiva luce coloro che praticassero il mestiere della prostituzione.
Nel IV secolo, la prostituzione veniva ancora considerata come un fatto del tutto nella norma, ma col tempo la situazione cambiò notevolmente.
Nel 428, il prefetto del pretorio d’Oriente, Florenzio, devoto cristiano, fece emanare una legge che permetteva alle prostitute di abbandonare il mestiere rivolgendosi ai vescovi, ai magistrati cittadini, o ai governatori provinciali, ai quali era data la facoltà di liberarle dai lenoni, che le sfruttavano.
Una decina di anni dopo, nel 439, Florenzio tornò sul tema con una legge che liberava tutte le prostitute della capitale d’Oriente, ed espelleva i tenutari di postriboli.
In seguito, l’imperatore Leone I emanò una legge che proibiva la prostituzione ed aboliva la tassa sulla professione.
Ma non ebbe l’effetto sperato.

Nel 539, l’imperatrice Teodora, di umili natali e da sempre dalla parte delle donne, cercò d’estirpare il problema dalla radice, facendo arrestare tutti i lenoni di Costantinopoli, mentre le loro vittime avrebbero dovuto identificarli, e dichiarare quanto denaro questi uomini avessero dato alle loro famiglie.
Infatti, per tutto il territorio dell’Impero si aggiravano sfruttatori alla ricerca di fanciulle povere, dai dieci anni in su, che per un’esigua somma di denaro (o con la promessa di donare calzari ed abiti) strappavano alle famiglie.
Solitamente, il prezzo concordato era di cinque monete d’oro a persona.
Queste fanciulle venivano, quindi, portate nella Capitale, e tenute prigioniere nei postriboli per farle prostituire nelle case dei lenoni o direttamente in strada.
Venivano costrette a firmar contratti, dai quali era impossibile liberarsi. Erano malnutrite, e non ricevevano nulla dei loro profitti.
L’imperatrice le riscattò tutte quante.
Più di cinquecento donne, ci racconta Procopio di Cesarea, lasciarono la professione, e si recarono in un ex palazzo imperiale, convertito in monastero. Tragicamente, molte di queste fanciulle non riuscirono ad adattarsi alla loro nuova vita e si tolsero la vita nel cuore della notte, gettandosi dalle finestre.
Anche l’imperatore Giustiniano, nel 535, legiferò contro la prostituzione.
Ovviamente, le donne di cui si sta parlando erano delle fanciulle proveniente da estrazioni sociali molte basse, e che vivevano in miseria. Molto diversa era la situazione delle prostitute d’alto bordo, le quali conducevano una vita agiata e possedevano stuoli di ammiratori.
Anche i loro lenoni avevano profitti maggiori, tanto da poter aver ambizioni elevate, come farsi nominare comandanti d’unità militari.
La scelta della prostituzione poteva essere anche una conseguenza delle sfortune della vita.
Ad esempio, le matrone romane fuggite dall’Urbe dopo il sacco di Roma del 410 e rifugiatesi in Africa, vennero vendute dal governatore imperiale a commercianti orientali come prostitute.
Oppure, le donne potevano decidere di prostituirsi volontariamente, a causa di grossi problemi economici.
Il disprezzo dei cristiani si estendeva anche ad altre categorie femminili, come ad esempio le donne dello spettacolo.
Queste facevano parte di compagnie di mimi, ed erano molto lontane dall’ideale di compostezza e dignità richiesto dalla società.
Le attrici si mostravano a capo scoperto (infatti, una ragazza nubile era costretta a restar in casa, ed uscire solo per la messa o per questioni sempre legate al culto, accompagnata e col capo coperto), si truccavano vistosamente, le loro vesti erano scandalose, e si esibivano in danze lascive e canti scurrili.

Dal 371, la legge permetteva ad attrici e attori di pentirsi in punto di morte ed esser accolti dalla Chiesa, ma si era tenuti a verificare che fossero veramente in fin di vita, e se fossero guariti non potevano più calcare i palchi.
Le figlie dei teatranti potevano, inoltre, abbandonare le scene ed erano esentate a tornarvi finché si fossero comportate in modo dignitoso. Anche le attrici potevano lasciar la professione, per abbracciare una vita monastica. Se però fossero andate in scena nuovamente, sarebbero state condannate.
I cristiani, inoltre, guardavano con sospetto anche le donne ricche, per via della loro ostentazione della ricchezza.
In generale, una donna era considerata portatrice di tentazioni.
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G. Ravegnani 2015, La vita quotidiana alla fine del mondo antico
G. Ravegnani 2015, Teodora
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