Anche se facciamo ancora fatica ad associare il soldato romano a un duellante, ci sono alcuni casi di duelli molto noti.
Arcinota è la sfida tra Orazi e Curiazi.
Ben più di una fonte antica narra del duello tra Tito Manlio Torquato e il Gallo alla battaglia dell’Aniene (Quadrigario/Gellio, Tito Livio e Eutropio).
Altrettanto noto è il duello ingaggiato da Corvino contro un campione gallico, benché vi siano elementi fantasiosi, come il corvo che becca il Celta dalla sommità dell’elmo del Romano (interessante l’interpretazione data da Livio Asta in “Storie di Bardi”).
Ho parlato del duello tra Tito Manlio e il Gallio alla battaglia dell’Aniene in questo mio video (clicca qui per visualizzarlo).
Ho anche raccontato il duello di Valerio Corvino in questo altro mio video (clicca qui per vederlo).
Non si tratta tuttavia di casi isolati, o di eccezioni.
Vi sono altri riferimenti decisamente interessanti di Romani, usualmente condottieri e comandanti, che accettano di misurarsi in singolar tenzone con avversari che lanciano la sfida.

Tito Manlio vs Gemino Mecio
Guerra Latina, 340 a.C.
Tito Manlio, figlio di Tito Manlio Imperioso Torquato (proprio lo stesso del duello col Gallo all’Aniene), al comando di un distaccamento di cavalleria, si imbatte in uno squadrone di cavalieri latini di Tuscolo, agli ordini del veterano Gemino Mecio.
Ai Romani era stato ordine di non ingaggiare per alcun motivo il nemico, ma…
“…Gemino avanzò in sella poco oltre la linea dei compagni e domandò: ‘Mentre aspetti che venga il giorno nel quale farete il grande sforzo di muovere l’esercito, non vuoi misurarti tu in persona con me, in modo che già dall’esito del nostro duello la gente veda quanto sia superiore un cavaliere latino ad uno romano?’
L’indole tracotante del giovane venne spinta dal risentimento o forse dalla vergogna di rifiutare una sfida, o ancora dalla forza irresistibile del destino. E così, dimentico dell’ordine del padre e del proclama del console, si gettò sconsideratamente in un duello nel quale non avrebbe fatta molta differenza se avesse vinto o perso.
Dopo aver fatto allontanare gli altri cavalieri come per far spazio a uno spettacolo, i due sfidanti spronarono i cavalli l’uno contro l’altro nel tratto di pianura che si apriva in mezzo a loro.
Lanciatisi all’assalto con le aste pronte a colpire, la cuspide di Manlio sfiorò l’elmo dell’avversario, mentre l’asta di Mecio andò a finire oltre il collo del cavallo di Manlio.
Poi, dopo aver fatto voltare i cavalli, Manlio, che era stato il primo a riaversi per il secondo assalto, riuscì a piantare la punta dell’arma tra le orecchie del cavallo [dell’avversario].
Per il dolore della ferita l’animale si impennò e scosse il capo con violenza, sbalzando di sella il cavaliere.
Questi, appoggiandosi all’asta e allo scudo, cercava di rimettersi in piedi dopo la pesante caduta, quando Manlio lo trapassò con la lancia, che uscita dal fianco dopo essere entrata dalla gola, inchiodò a terra l’avversario.
Quindi, raccolte le spoglie, ritornò dai compagni di squadrone che lo accolsero con un grido di gioia e lo accompagnarono all’accampamento, dove il giovane cercò immediatamente la tenda del padre, senza sapere cosa il destino avesse in serbo per lui, se la lode o la punizione.»
[Tito Livio, Ab Urbe Condita, VIII, 7]
Al povero Manlio toccò la punizione.
Sebbene il padre avesse lui stesso accettato, in gioventù, una sfida a duello da un campione gallico, non prese benissimo l’insubordinazione del figlio, condannandolo seduta stante a morte.

Claudio Marcello alla Battaglia di Clastidium, 222 a.C.
I Romani assediano la fortezza insubre di Acerrae.
Non riuscendo a inviare soccorsi, gli Insubri cercando di distogliere le legioni mandando un esercito di Gaesati guidati da Viridomaro (o Virdumaro, o Britomarto) ad assediare a loro volta Clastidium, nelle terre degli Anamari, Liguri o Galli, non si sa, che proprio sotto la pressione degli Insubri si erano legati a Roma.
I Romani mandano Claudio Marcello ad affrontarli, e…
“…quando si fu sul punto di ingaggiare coi nemici, egli [Marcello] dichiarò che aveva fatto voto di consacrare a Giove Feretrio la più bella delle loro panoplie.
Nel mentre il re dei Galli lo osservava, e giudicando dalle sue insegne che fosse il comandante, cavalcò dinnanzi a tutti e gli si parò dinnanzi, gridandogli la sua sfida e brandendo la lancia.
Superava per statura tutti gli altri Galli, e risaltava per la sua panoplia dai colori brillanti, che era intarsiata d’oro e d’argento e ogni sorta di cesellature, risplendente come un fulmine.
A Marcello, dopo che ebbe osservato le fila del nemico, questa parve la panoplia più bella, e decise che doveva essere quella che aveva promesso al dio.
Quindi si gettò contro l’uomo, e con un colpo della sua lancia, che attraversò l’armatura del nemico, e con l’impatto del suo cavallo lanciato al galoppo, lo sbalzò, ancora vivo, sul terreno, dove con un secondo e un terzo colpo lo uccise.”
[Plutarco, Vite Parallele, Vita di Marcello, VI, 6 – VII, 1-2]
Duelli in terra iberica. Lucullo e Quinto Occio
Appena conclusa la Seconda Guerra Celtiberica Lucullo, senza alcun valido motivo se non per avidità e rapacità, a detta dello storico Appiano, tra 151 e 150 a.C. attacca il popolo dei Vaccei.
L’abitudine maniacale dei Celtiberi per i duelli tra campioni, che fa impallidire quella dei Galli, trova buona risposta tra i Romani, persino tra un condottiero celebre come Scipione Emiliano:
“Lucullo conquistò i Turduli e i Vaccei, presso i quali Scipione il Giovane vinse la spolia opima in un duello al quale lo aveva sfidato il loro re.”
[Floro, Epitome, XXXIII, 11]
Sette anni dopo, Quinto Cecilio Metello Macedonico viene inviato nel 143 a.C. in Spagna dove infuria la Guerra Numantina.
Al suo seguito, come legato, vi è un certo Quinto Occio (di ascendenza sabina a giudicare la nome).
Un personaggio che, quando si trattava di buttarsi in combattimento, non se lo sarebbe fatto ripetere due volte:
“Quinto Occio […] era legato del console Quinto Metello, e andò in Spagna e combattè ai suoi ordini nella Guerra Celtibera.
Accadde che Occio era intento a consumare il suo pasto quando venne sfidato a duello da un giovane della nazione nemica.
Occio si levò dal suo desco e ordinò che le sue armi e il suo cavallo fossero condotti di nascosto fuori dalla palizzata, poiché temeva che Metello avrebbe potuto fermarlo se l’avesse udito, e raggiunto quel Celtibero che con molta arroganza cavalcava in cerchio, lo uccise, e sottratte dal corpo le spoglie, esultando per la gioia, ritornò all’accampamento.
Occio venne anche sfidato a duello da Pyreso, che era il più nobile e coraggioso dei Celtiberi, ma Occio lo costrinse alla resa.
Il giovane era molto irruento, ma non provò vergogna nel consegnare la sua spada e il suo mantello a Occio, anche se entrambe le armate assistevano alla scena.
Al contrario, egli offrì che si legassero entrambi da amicizia, qualora la guerra tra i Romani e i Celtiberi fosse terminata.”
[Valerio Massimo, Facta et Dicta Memorabilia, III, 2, 21]

Duello tra ausiliari durante la Guerra Sociale
Nel 91 a.C., le truppe dei Socii Italici ribelli, capitanate da Lucio Cluenzio, si scontrano con quelle di Silla.
Entrambi sono sostanzialmente eserciti romani, con legionari ed ausiliari.
Assistiamo al curioso duello tra un ausiliario gallico delle schiere degli Italici ribelli che sfida a duello un ausiliaro Mauro delle truppe lealiste.
“Avendo ricevuto [Lucio Cluenzio] alcuni rinforzi di Galli, di nuovo mosse contro Silla e proprio quando le due armate stavano per scontrarsi un Gallo enorme avanzò sfidando chiunque tra i Romani in singolar tenzone.
Un soldato Mauro di bassa statura accettò la sfida e lo uccise, gettando il panico nelle file dei Galli che si diedero alla fuga.”
[Appiano, Storia Romana, Guerre Civili, I, 50]
Fonti (clicca i link qui sotto per acquistare la tua copia del libro)
Appiano, Storia Romana
Cassio Dione, Romaikà.
Plutarco, Vite Parallele
Tito Livio, Ab Urbe condita
Valerio Massimo, Memorabilia