I colori nel mondo antico. (1) Percezione ed etica del colore

Parlare dei colori nel mondo romano, e in generale nel mondo antico, è un’impresa tutt’altro che facile.

Nomi, utilizzi, persino la percezione dei colori stessi era molto diversa dalla nostra.

Per capirlo appieno, sarà necessario e indispensabile fare un percorso a ritroso, dai giorni nostri al mondo antico.

Dai giorni nostri al mondo antico: percezione e teorie del colore

Quando si studiano le teorie del colore, solitamente si tende a prendere maggiormente in considerazione il periodo che va dalla seconda metà del XVII secolo fino al XX secolo.

Il ‘900 ci ha donato degli splendidi saggi sul colore, come quello del pittore astrattista V.V. Kandinskij, che nel 1912 pubblicò il suo “Lo Spirituale nell’Arte”.

Questo testo, più che un approccio scientifico o un manuale di pittura, si poneva come un saggio sull’uso del colore e sul rapporto tra questo e la dimensione dalla tela, nonché la dimensione emotiva.

Per Kandinskij infatti il colore produceva sullo spettatore due differenti effetti.
Il primo era solo fisico, legato all’atto della vista. Il secondo invece metteva in contatto l’opera d’arte con l’anima dello spettatore attraverso anche l’uso di altri sensi, risvegliando delle emozioni.

Altri, prima di Kandinskij, si erano interessati a questi effetti e fenomeni. Uno dei casi più celebri è di sicuro quello del poeta tedesco W. von Goethe, che nel 1810 a Tubinga pubblicò il suo saggio dal titolo “Zur Farbenlehre”.

Il poeta si interessò al colore non tanto in maniera scientifica, quanto relativamente al fenomeno fisico-sensoriale che esso genera nell’animo umano.
Di conseguenza, il colore non era visto come un dato oggettivo facilmente conoscibile, poiché questo poteva esser conosciuto solo attraverso i sensi.

Goethe espose la propria teoria analizzando le proprietà, le caratteristiche, ed i fenomeni legati ai colori.
Il poeta riteneva che il nuovo sistema dei colori, proposto da Newton poco più di un secolo prima, non riuscisse a spiegare l’universo cromatico.

Sir Isaac Newton aveva svolto e perfezionato i suoi esperimenti sulla luce tra 1665 e 1666, anche se i risultati degli stessi sarebbero stati noti solo nel 1704.

Tra il 1665 ed il 1666, Newton perfezionò l’esperimento della luce che attraversa un prisma di vetro (più volte ripetuto già da altri scienziati, i quali avevano ottenuto risultati diversi).
Il giovane inglese era convinto che i colori non fossero materia, ma semplicemente luce, e che spostandosi e incontrando delle superfici o oggetti, subissero delle modifiche fisiche, facilmente osservabili e studiabili.

Dopo i vari esperimenti, finalmente, Newton si accorse che la luce bianca del Sole non mutava incontrando il vetro del prisma, ma che invece si scomponeva, disperdendosi in una fascia oblunga composta da raggi di varia lunghezza.

È proprio grazie ad Isaac Newton e a questa scoperta se noi oggi percepiamo i colori come una scala cromatica, e se consideriamo il bianco e il nero dei non-colori.

Incisione dell’esperimento di Newton e il prisma, in un’incisione di Louis Figuier (1868).

La scoperta di Newton aveva sconvolto l’intero sistema cromatico di matrice aristotelica, nonché medievale e di età moderna.
Questo era infatti stato dominato, fino a quel momento, dal rosso, che invece adesso si trovava rilegato al margine di una scala.

Per quanto riguarda l’arte di età moderna (ovvero contemporanea e precedente a Newton), nel periodo tra il Rinascimento ed il XVIII secolo, si assisteva a dispute tra chi affermava la supremazia del disegno sul colore.
Si pensi, ad esempio, ai testi di Vasari, Zuccari, e Bellori; o alle dispute tra scuole toscana e veneta.

Nel Medioevo erano frequenti le discussioni riguardanti il colore, la sua simbologia, il ruolo che questo deve assumere nella vita sociale (es. le leggi suntuarie sul vestiario) e religiosa.
A questo ultimo proposito, si pensi per esempio alle liti tra cluniacensi e cistercensi, nella Francia tra il XII ed il XIII secolo, per stabilire se fosse lecito avere colori all’interno dei luoghi di culto.

Nel nostro percorso a ritroso, siamo infine giunti all’antichità.

Com’era la percezione del colore nel mondo antico? Che ruolo avevano i colori nella vita sociale, politica, e spirituale dei popoli antichi del bacino del Mediterraneo? Avevano anche loro delle teorie dei colori?

Percezione e denominazione dei colori nel mondo antico

Percezione e denominazione dei colori erano, nel mondo antico, profondamente diverse dalle nostre.

La scala cromatica dei Greci, così come dei Latini, era basata su una caratteristica fondamentale: la brillantezza.
I colori si distinguevano in base alla loro capacità di riflettere la luce. Per questo difficilmente a un solo nome corrispondeva un solo colore.

La Grecia antica, grazie alla sue enorme produzione letteraria, ha permesso di definire il rapporto esistente tra percezione e denominazione.

Il lessico cromatico greco risulta povero e impreciso, con poche eccezioni, ossia leukós (bianco) e mélas (nero). Un altro termine, erythrós designava invece in linea generale una vasta gamma di toni rossi.

Altre parole risultano incerte, vaghe, imprecise, polisemantiche – questo è un carattere in comune anche con il latino e con le lingue germaniche.
Questi termini, più che il colore, esprimevano la qualità della luce e della materia, e più che il pigmento in sé riguardavano sensazioni o emozioni che questo suscitava.

Emozioni e sensazioni anche molto diverse da quelle che proveremmo noi: nel mondo antico infatti, alcuni pigmenti non avevano lo stesso significato, e di conseguenza lo stesso impiego, che hanno per noi oggi.

La visione (fattore biologico) è molto diversa dalla percezione (fattore culturale).
Così, la percezione crea un divario tra colore reale, percepito e nominato.

La percezione del colore si manifesta in modo molto chiaro soprattutto nell’uso dei pigmenti per i tessuti e l’abbigliamento. L’utilizzo del tessuto e del colore è quello che mescola più strettamente i problemi materiali, tecnici, economici, sociali, ideologici, simbolici ed estetici.

Inoltre, il fatto che tutti i termini atti a identificare un colore sembrino essere tutti aggettivi, e non aggettivi sostantivati o sostantivi, come nelle lingue moderne, fa supporre che tra i popoli antichi non vi fosse nemmeno un vero e proprio concetto astratto del colore.

I Romani e l’etica del colore

Anche nel mondo romano, era la brillantezza a determinare la bellezza di un colore. Del resto la gloria e il prestigio di un Romano si esprimevano proprio con parole come clarus (brillante) e illustris (luminoso).

Nella Roma antica (tra periodo repubblicano e alto imperiale) esisteva una vera e propria etica del colore, che determinava anche l’utilizzo dei pigmenti.

Per i Romani, i colori erano divisi in due grandi categorie: gli apprezzati colores austeri, e i meno amati colores floridi.

Ne abbiamo testimonianza particolarmente dal libro XXXV della Naturalis Historia di Plinio il Vecchio, nostra principale fonte riguardo i colori nel mondo romano. Altri accenni a tale divisione li troviamo anche altri autori, quali Catone, Cicerone, Quintiliano e Tertulliano.

I colores austeri erano il bianco, il nero, il giallo, e il rosso. Una palette di colori che troviamo effettivamente molto usata, particolarmente nel periodo repubblicano.
Questi erano i colori che i Romani del periodo imperiale, tra cui ovviamente Plinio, pensavano che avessero fatto grande Roma.

I colores floridi erano invece pigmenti considerati frivoli, falsi, volgari, troppo vivaci. A questa categoria appartenevano i colori per noi corrispondenti ai nostri rosa, viola, blu, verde, e arancione.
Questa scarsa considerazione non impediva ovviamente che anche tali colori fossero utilizzati, anche se suscitando scandalo e disapprovazione, in epoca alto imperiale.

Tale etica probabilmente cambiò nel periodo tardo antico, come si nota da un maggior utilizzo e diffusione anche degli antichi colores floridi.

I Romani, inoltre, mantennero sempre uno spiccato amore per i contrasti e gli accostamenti “dissonanti”.

Leggi anche:
I colori nel mondo antico. (2) Verde e blu

I colori nel mondo antico. (3) Rosso e porpora

I colori nel mondo antico. (4) Giallo, nero e bianco

Bibliografia

La produzione letteraria inerente il mondo dei colori è vasta e variegata. Ci limitiamo per cui a segnalare alcuni titoli principali dai quali iniziare a studiare il tema, tanto per quanto concerne le fonti che gli studi moderni.

Fonti antiche

Plinio, Naturalis Historia

Studi

M. Bradley 2011, Colour and Meaning in Ancient Rome

M. Pastoureau 2002, Blu. Storia di un colore

M. Pastoureau, D. Simmonet 2006, Il piccolo libro dei colori

M. Pastoureau 2008, Nero. Storia di un colore

M. Pastoureau 2013, Verde. Storia di un colore

M. Pastoureau 2016, Rosso. Storia di un colore

M. Pastoureau 2019, Giallo. Storia di un colore


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