Recensione: “Il nemico indomabile”, di Umberto Roberto

Titolo: “Il nemico indomabile. Roma contro i Germani”
Autore: Umberto Roberto
Anno prima pubblicazione: 2018
Editore: Editori Laterza

Il nemico indomabile” è un saggio avvincente come un romanzo.

Almeno, la prima parte. E la seconda? Lo vedremo a breve.

La prima parte è quella che ci porta di slancio all’interno della Storia, ci catapulta in modo vivido e veritiero accanto ai protagonisti, ci fa rivivere le difficili e affascinanti vicende dei Romani in Germania dal I sec. a.C. alla prima parte del I sec. d.C.

Nonostante il titolo sembri proporre una lunga trattazione delle vicende tra i Romani e i Germani, la storia che il prof. Umberto Roberto vuole raccontare nella prima parte del libro ha infatti dei limiti cronologici e spaziali piuttosto precisi.

Lo sintetizza bene lo stesso autore:
“Questo libro ricostruisce la storia del confronto tra Roma e i Germani, sovente violento, ma sempre intenso e fecondo. La prima parte è dedicata a ricostruire la vicenda storica che portò i Romani a conquistare la Germania tra Reno ed Elba, con le imprese di Druso e di Tiberio (12-8 a.C.).
S’avviò allora una veloce provincializzazione del territorio, che prevedeva lo sfruttamento delle risorse, la costruzione di città e insediamenti, l’assoggettamento delle popolazioni indigene allo stile di vita mediterraneo (7 a.C.-9 d.C.). Improvvisamente tutto cambiò con l’insurrezione di Arminio.”

In realtà, la storia che ci racconta il prof. Roberto inizia da ben prima, dalla prudenza di Giulio Cesare, che percepisce il Reno come naturale confine del mondo romano, e dai primi progetti di espansione di Agrippa, che invece guarda oltre il fiume.

Con il primo capitolo, “Sulle orme degli dèi”, siamo trasportati nell’epopea della conquista della Germania, partendo dalla vicenda spesso dimenticata della Clades Lolliana.

Una Germania che diventa l’arena dove la casata del princeps, Augusto, possa elevarsi a imperitura gloria. Ci vengono anche narrati gli immensi preparativi per la conquista, con la preventiva campagna per assicurarsi l’arco alpino che vide già coinvolti Druso e Tiberio, i due futuri eroi dell’impresa. La prima parte, che occupa poco meno di una cinquantina di pagine, si chiude con la conquista della Germania e l’istituzione della nuova provincia, nel 7 a.C.

Il secondo capitolo, purtroppo troppo breve per quanto mi riguarda (ma di lunghezza pari alla prima parte), è forse uno dei più affascinanti, e che fa maggiormente riflettere e fantasticare su cosa sarebbe successo se la provincia di Germania avesse continuato ad esistere. “Germania Magna: costruzione di una provincia tra 7 a.C. e 9 d.C.” analizza in modo completo, profondo e critico la romanizzazione del nuovo spazio romano tra Reno ed Elba.

Il prof. Roberto è un attento osservatore e lettore di tutte le fonti, e riesce a far emergere nello stesso modo vivido tanto gli aspetti positivi della romanizzazione (es. i nuovi impulsi economici nella provincia, l’integrazione dei Germani, la costruzione materiale della nuova provincia) quanto quelli negativi (es. il carico dei nuovi tributi, il cambiamento troppo repentino imposto dai Romani ai Germani).

Emerge bene dalle fonti quanto i Romani si stessero impegnando nella costruzione della provincia di Germania.

E poi, come anticipato dal prof. Roberto, tutto cambia. Precisamente nel terzo capitolo: “In rivolta contro Roma: storia di Arminio il liberatore”. Un capitolo che, nonostante il titolo, paradossalmente vedrà ben poco il protagonista (che comparirà molto di più nella seconda parte del libro, come vedremo a breve).

Tanto che in realtà il capitolo si apre con una lunga e approfondita analisi delle fonti che approfondisce e, soprattutto, finalmente riabilita la figura di Quintilio Varo. Da sempre dipinto come un idiota e un inetto, in realtà uomo molto preparato, con una carriera tanto politica quanto militare lunga e piena di buoni risultati. Una carriera stroncata da, come lo chiama il prof. Roberto, un errore di percezione.

L’errore fatale di pensare di trovarsi in una provincia pienamente pacificata, quale la Germania ancora non era. Una situazione della quale approfitterà Arminio per scatenare il suo piano, culminante nel massacr di Teutoburgo. Gran parte del terzo capitolo è dedicato a questo. Con dovizia di dettagli e sempre attento alle fonti, il prof. Umberto Roberto ci trascina nel fango, nella pioggia e nella disperazione di quei quattro giorni (l’autore abbraccia l’ipotesi che la battaglia si sia svolta non in tre ma quattro giornate).

Dopo Teutoburgo il racconto continua, e prosegue a spron battuto seguendo le vicende dei sopravvissuti, le gesta e gli stratagemmi di Lucio Cedicio per portare al di qua del Reno i superstiti, il quasi fatale agguato ai Pontes Longi, i passi delle legioni di Germanico nella sua ultio contro Arminio tra Idistaviso e il Vallo degli Angrivari.
Un capitolo, questo (dal titolo eloquente: “Vendetta e castigo per il tradimento: l’impresa di Germanico tra Reno ed Elba”), dal quale è davvero difficile interrompere la lettura, per l’accuratezza e il ritmo incalzante della narrazione, davvero da romanzo.

Assistiamo al trionfo di Germanico, al suo ristabilire i confini all’Elba, come aveva voluto Augusto finché in vita. E assistiamo anche all’abbandono definitivo della Germania come provincia per ordine di Tiberio, che come Giulio Cesare decide invece di porre il confine del mondo romano al Reno.
Il quinto capitolo (“La rinuncia: Tiberio e la libertà dei Germani”) chiude la prima parte del libro e fa da transizione alla seconda, ed è quasi interamente dedicato alla scelta di Tiberio. Una scelta che il prof. Roberto ricostruisce in modo estremamente realistico, in un complesso insieme di motivazioni: di stabilità politica, religiose, militari.

Nonostante le famose parole di Augusto, “Germaniam pacavit”, Tiberio si rendeva conto più degli altri come ciò non era affatto vero, e quante risorse la conquista e la riconquista della Germania stessero risucchiando risorse all’impero, particolarmente alle Gallie – che, vessate dai tributi per finanziare la campagna, erano quasi in rivolta.

I Germani, con tutti i limiti del termine, continuavano e avrebbero continuato a difendere pervicacemente la loro libertà. E da questo presupposto inizia a costruirsi, già in età romana e prima di Arminio, un mito.

Ed è così infatti che si intitola la seconda parte del libro, racchiuso in un unico, grande capitolo: “Un mito di antica libertà: la Germania, l’Italia, l’Europa”.
Un capitolo dal ritmo più lento, ma come è giusto che sia per l’argomento che va a trattare.

In questa lunga trattazione, che parte da prima di Arminio e Teutoburgo e che si dipana fino alla Seconda Guerra Mondiale, viene affrontata in modo approfondito e critico non solo la creazione del mito della libertà dei Germani e di Arminio liberatore, ma anche il rapporto dei posteri con questo mito e con le sentite eredità romana da una parte (Italia), germanica dall’altra (Germania) – rapporto tanto positivo quanto, spesso, negativo.

In particolare, stupirà forse molti scoprire non solo che per molti Romani, con l’inizio del principato, la libertà era fuggita presso i Germani, considerati gli unici uomini davvero liberi; ma anche scoprire che ancora ai principi del II sec. d.C. E poco oltre, ci sono voci ostili al governo di un princeps, che noi ormai diamo così tanto per scontato.

Ed è in questo quadro che va letta l’opera di Tacito, lo storico antico che più di tutti ha creato l’immagine e il mito della libertà dei Germani e del loro combattente per la libertà, Arminio.
Un’immagine che, in un modo o nell’altro, recepita tanto dai Romani di allora quanto dal mondo mediterraneo e latino dei secoli successivi, si propaga ancora oggi.

Infine, non si può nemmeno non segnalare il brevissimo ma necessario epilogo, nel quale il prof. Roberto tratta il rapporto dei tedeschi contemporanei con il passato germanico e di Teutoburgo.
Un pezzo che coloro che ridicolmente si sono stracciati le vesti urlando alla propaganda per il fatto che
“Barbari” di Netflix fosse una produzione tedesca, dovrebbero davvero leggere.

Ne proponiamo qualche significativo estratto:

“Simboli, personaggi, rappresentazioni degli antichi Germani sono stati repentinamente abbandonati, o destinati all’oblio da una memoria collettiva desiderosa di voltare pagina rispetto alle manipolazioni del passato. […] Non solo la memoria storica è gradualmente sbiadita: anche il monumento di Arminio, Herrmannsdenkmal, ha perduto negli anni ogni valenza politica, rimanendo, piuttosto, meta di attrazione turistica. […]
D’altra parte, la cultura tedesca è attratta dalla complessità dell’impero romano e dalla sua capacità di inclusione, anche oltre il confine politico e militare del Reno.”

Fa amaramente riflettere il fatto che in Italia, al contrario, non ci si riesca proprio a (di)staccare dal mito dell’impero romano, con una volontà di associarci senza soluzione di continuità a un passato e a una cultura dei quali siamo eredi, ma che non ci appartengono – e che non appartengono solo a noi.

Questo è un libro che tanti Italiani dovrebbero avere e leggere.

Sia perché racconta in modo vivido, avvincente e appassionante un passato che coinvolge parte della nostra eredità. Sia perché permette di fare una riflessione critica su chi siamo e, forse, su chi vogliamo davvero essere, alla luce dell’eredità che abbiamo alle spalle.

Un libro del quale penso avessimo tanto bisogno.

Un libro che davvero non dovrebbe mancare anche nella vostra libreria.


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